[Source]

Dopo una serie di mobilitazioni locali, sabato 5 marzo decine di migliaia di persone hanno manifestato a Roma in un corteo nazionale contro la guerra convocato dall’arcipelago pacifista e con le adesioni di CGIL, ARCI ed associazioni vicine al centro-sinistra.

Quali sono state le parole d’ordine del corteo? Perché i marxisti s’oppongono all’invio di armi all’Ucraina? Perché sono senza fondamento, persino grotteschi, i paragoni tra la resistenza contro la Russia dell’esercito ucraino e la Resistenza partigiana o le Brigate Internazionali che combatterono nella guerra civile spagnola nel 1936-1938?

Il pacifismo in un vicolo cieco

La piattaforma del 5 marzo è rimasta imprigionata nell’illusione pacifista di lottare contro la guerra senza mettere in discussione il capitalismo che la genera. La soluzione del conflitto, dunque, viene identificata nell’intervento dell’ONU, ovvero un forum tra nazioni capitaliste che non ha mai fermato una guerra e ne ha, invece, appoggiate molte, dall’intervento statunitense nella Guerra di Corea (1950-1953) all’invasione NATO dell’Afghanistan (2001). È un pio desiderio pensare che i conflitti inter-imperialisti, come quello in corso in Ucraina, possano risolversi attorno ai tavoli della diplomazia o che la pace tra i popoli possa essere il risultato della pressione sui governi per il disarmo.

La piattaforma di convocazione del corteo si pronunciava contro gli aiuti militari europei all’Ucraina di Zelensky e contro l’allargamento a est della NATO. Queste rivendicazioni sono scomparse dalla piattaforma, con l’accondiscendenza della Rete Italiana Pace Disarmo e dei vertici CGIL, in un tentativo di conciliazione con governo e PD.

Il fallimento della diplomazia ha condotto allo scoppio del conflitto, che è la modalità con cui sotto il capitalismo si regolano i conti quando due “briganti” non si accordano sulla spartizione del “bottino”. Nessun campo in guerra ha interesse a chiudere il conflitto prima di aver preparato il negoziato con missili che permettano di trattare da posizioni di forza.

Una guerra per la “democrazia”?

Nei paesi della NATO e dell’UE l’ipocrisia della propaganda di guerra è nauseante. L’appoggio militare all’Ucraina è presentato come la partecipazione ad una crociata del Bene contro il Male.

ll giornalista Gad Lerner ha nobilitato questa linea, paragonando la resistenza del governo ucraino ai partigiani antifascisti ed il presidente Zelensky, appoggiato dal miliardario e finanziatore di gruppi neo-nazisti Kolomoyskyi, al leader socialista cileno Allende, ucciso nel 1973 nel golpe militare di Pinochet appoggiato dalla CIA (“Il popolo ucraino ha diritto alla Resistenza”, 1-3-2022). La superficialità della presunta concretezza di chi sostiene l’invio di armi, alla ricerca d’una soluzione immediata, precipita nel pantano del supporto ad una delle due bande in conflitto, in questo caso quella appoggiato dal “nostro” imperialismo.

Condanniamo l’invasione militare russa dell’Ucraina, che produce effetti disastrosi per i lavoratori ucraini e russi, e rifiutiamo di concedere una qualunque credenziale democratica o progressista al reazionario regime politico ucraino. È un regime che opprime la popolazione ucraina russofona, glorifica le forze che collaborarono coi nazisti nella Seconda Guerra mondiale, ha integrato gruppi paramilitari neo-nazisti nell’apparato statale ed è un’agenzia dell’imperialismo occidentale. A chi afferma che l’Ucraina è una nazione indipendente, replichiamo che la classe dominante di Kiev è completamente subordinata all’imperialismo USA. In Ucraina si svolgono elezioni ma è una “democrazia” nella quale il Partito Comunista è messo al bando in forza d’una legge del 2015 sulla “decomunistizzazione” e altre organizzazioni di sinistra sono costrette alla clandestinità; una “democrazia” nella quale le bande fasciste operano con impunità e sono parte della Guardia Nazionale, come il Battaglione Azov o Aidar. Zelensky ha persino nominato governatore di Odessa Marchenko, ex-comandante dell’Aidar. Quanto ai diritti democratici, Reporters Without Borders ha registrato nel 2020 171 aggressioni fisiche ai danni di giornalisti. Spesso, la manovalanza di queste aggressioni proviene da ex-volontari della guerra del 2014-2015 contro la popolazione del Donbass.

Pensiamo, dunque, che compia un errore grave il compagno Davide Grasso, area InfoAut, quando propone che “quale che sia il nostro giudizio sul governo che gli ucraini hanno eletto, occorre sostenere la resistenza di una nazione fisicamente aggredita”. Ma la guerra non “sospende” la lotta di classe, neanche in Ucraina. Peraltro, l’apparato statale ucraino non s’è squagliato e lo stato maggiore dell’esercito dirige la resistenza appoggiandosi sui settori nazionalisti più fanatici; persino un servizio della BBC ha mostrato un membro del gruppo paramilitare neo-nazista C-14, integrato legalmente nelle forze armate, addestrare un gruppo di civili a Kiev nell’uso delle armi. Analizzare il carattere di una guerra in base a chi “ha sparato il primo colpo” è un criterio superficiale perché ignora le forze sociali interne ed internazionali alla base del conflitto.

Il governo Zelensky combatte una guerra per procura per conto dell’imperialismo USA. L’invio di armi non modificherà sostanzialmente il rapporto di forza militare sul terreno ma prolungherà un conflitto sanguinoso e si concretizzerà in maggiori distruzioni e nella perdita di migliaia di vite in più in una guerra reazionaria da entrambi i lati.

Lavoratori di tutti i paesi, unitevi!

La via d’uscita da questo conflitto inter-imperialista è la lotta per il socialismo, capace di unire gli sfruttati in Ucraina ed in Russia. I lavoratori ucraini non devono essere “carne da macello” per la NATO ma possono conquistare una vita degna soltanto rovesciando il “loro” governo e gli “oligarchi” che lo controllano, abbracciando una politica internazionalista che rispetti i diritti democratici della popolazione russofona. Soltanto in quel caso la resistenza assumerebbe un contenuto progressista e farebbe tremare, da est a ovest, tutti i responsabili di questo macello.