Medio Oriente – Un incendio ad opera dell’imperialismo

A partire dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 nel sud di Israele, la logica degli eventi in Medio Oriente si muove in direzione di un allargamento della guerra al di fuori di Gaza. Tutti i tentativi di frenare questo processo hanno seguito lo stesso schema. Gli americani prima dichiarano che non vogliono un’estensione del conflitto. Però, ogni volta Netanyahu fa in modo di far precipitare la situazione verso un allargamento della guerra, sapendo che gli Stati Uniti si schiereranno sempre dalla parte di Israele.

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Questo è quanto è successo, per l’ennesima volta, con l’attacco di Israele al Libano, con Biden che dichiarava di “capire” le esigenze di sicurezza di Israele, ecc.

Dopo la rappresaglia dell’Iran seguita all’assassinio di Nasrallah, gli israeliani si fregavano le mani. Ciò rappresentava un’opportunità per colpire i centri di ricerca nucleare in Iran, per assestare un colpo al nemico più temibile del paese e, magari, per trascinare gli Stati Uniti in una guerra più estesa, il che è l’obiettivo di Netanyahu fin dall’inizio.

Biden, tuttavia, ha dichiarato pubblicamente che Israele non deve colpire né i siti nucleari iraniani né quelli petroliferi e che quella di Israele dovrebbe essere una “risposta proporzionale”. Il problema con le risposte proporzionali è che, ogni volta che rispondi, la risposta successiva deve essere più dura. Infatti, il secondo lancio di missili dell’Iran era il doppio più potente rispetto a quello che aveva lanciato ad aprile.

Gli americani hanno collaborato all’abbattimento dei razzi iraniani ad aprile e hanno fatto lo stesso anche questa volta. Ma la portata dell’attacco iraniano ha spinto gli Stati Uniti a inviare ulteriori potenti sistemi di difesa ad Israele, insieme con 200 uomini per renderli operativi.

Per Netanyahu, questo è l’ideale. Potrebbe anche essere disposto a rinunciare ad un attacco punitivo nei confronti di siti nucleari o petroliferi in Iran per colpire invece obiettivi militari, almeno per adesso. Biden, dopotutto, gli ha dato qualcosa di molto più prezioso: personale militare americano sul campo. Nel caso in cui l’Iran lanciasse altri attacchi, i soldati Usa si troverebbero ora sulla linea di fuoco. La prossima volta che Netanyahu provocherà l’Iran per costringerlo a colpire Israele, se le truppe americane dovessero risultare nella lista delle vittime, gli Stati Uniti avranno enormi difficoltà ad evitare uno scontro diretto con l’Iran.

Al contempo, Starmer ha dichiarato che gli inglesi – che hanno una base a Cipro – hanno anch’essi ampiamente partecipato all’abbattimento dei missili. Vediamo come il conflitto stia trascinando al proprio interno i principali membri della NATO – soprattutto gli Stati Uniti, ma anche gli inglesi e i francesi. E, nonostante tutto questo, alcuni dei missili iraniani sono riusciti ad andare a segno.

Dopo la rappresaglia dell’Iran, ora sentiamo il solito mantra, che condanna l’Iran per la sua politica aggressiva. Tutti i notiziari si concentrano attorno alla “aggressione iraniana”. Tuttavia, la verità è che l’aggressore è Israele e che è Netanyahu che sta sistematicamente alimentando la guerra, trascinando l’Iran in un conflitto in maniera deliberata. Ha ripetutamente provocato l’Iran, prima bombardando l’ambasciata iraniana a Damasco e poi con l’uccisione del leader di Hamas a Teheran alla fine di luglio.

L’uccisione di Haniyeh a luglio e quella più recente di Nasrallah hanno messo gli iraniani di fronte ad un dilemma. Hanno pensato: “come soppesiamo la rappresaglia in modo da non perdere la faccia, ma senza provocare una guerra?”. Qui il problema è che qualsiasi rappresaglia dell’Iran fornisce a Netanyahu la scusa per contrattaccare in maniera ancora più dura. Questo era esattamente quello che egli stava aspettando.

Nei prossimi giorni, possiamo aspettarci una rappresaglia da parte di Israele, sebbene non possiamo dire con certezza quando Israele colpirà l’Iran.

La situazione si sta così avviluppando in una spirale di guerra, nonostante il fatto che l’imperialismo americano preferirebbe circoscrivere il conflitto al Libano ed evitare una guerra regionale generalizzata, il che peraltro non rientrerebbe neanche negli interessi dell’Iran.

La situazione all’interno di Israele

Ciò che è apparso chiaro all’inizio di settembre, con l’uccisione di sei ostaggi, è che la società israeliana è divisa.

La società israeliana è sottoposta a forti pressioni. Questo lo si può vedere dalla crescita imponente dell’uso di droghe, tranquillanti e sonniferi. La gente è sottoposta a un grande stress. E l’economia è stata gravemente danneggiata.

L’edilizia e l’agricoltura sono paralizzate e numerose aziende sono sull’orlo della bancarotta e della chiusura. Come se non bastasse, ora la popolazione civile sta vivendo la minaccia concreta di diventare bersaglio dei missili. Questo è diventato evidente dopo il secondo attacco missilistico iraniano, che ha colpito numerosi obiettivi all’interno di Israele. Ci si può immaginare lo stress enorme cui è stata sottoposta la società israeliana a causa della politica di Netanyahu.

Le divisioni all’interno della società israeliana, tuttavia, non riguardano tanto la questione dell’appoggio allo sforzo bellico. Più che altro, c’è un settore della popolazione che appoggia in maniera sincera l’appello per un cessate il fuoco al fine di salvare gli ostaggi. Se la loro preoccupazione per gli ostaggi è sincera, quella di Netanyahu è ipocrita fino al midollo. A Netanyahu non importa un fico secco degli ostaggi che sono ancora in mano ad Hamas a Gaza. Egli semplicemente sfrutta la questione degli ostaggi per continuare ad alimentare la guerra.

Questo si è rivelato chiaramente all’inizio di settembre, quando avrebbe potuto fare un passo in direzione di Hamas, aprendo negoziati per un cessate il fuoco e ritirando l’esercito dal Corridoio Filadelfia, che costeggia il confine tra Gaza e l’Egitto. Ha fatto esattamente il contrario. Durante tutto il corso dell’anno, ha sistematicamente sabotato i negoziati.

Ha ucciso Haniyeh e Nasrallah precisamente quando erano impegnati in negoziati per un cessate il fuoco. Nasrallah aveva già accettato la proposta di un cessate il fuoco il giorno stesso in cui è stato assassinato. Netanyahu si è rifiutato di ritirare le truppe dal Corridoio Filadelfia al confine con l’Egitto, perché sa che questa è una condizione imprescindibile per Hamas.

Un ampio settore della popolazione non si è tuttavia lasciato ingannare dalle sue manovre. Quasi 700mila persone sono scese in strada in Israele in protesta. Ciò ha persino dato vita a uno sciopero generale, per quanto di breve durata e con scarsa convinzione da parte dei dirigenti sindacali, che non avevano realmente intenzione di portarlo avanti e che lo hanno revocato non appena è intervenuto il tribunale. Tuttavia, in quel momento particolare, tutti i sondaggi di opinione hanno mostrato che l’appoggio alla coalizione di Netanyahu era crollato drasticamente. Se si fossero tenute le elezioni in quel momento, avrebbe perso la sua maggioranza.

Questo gioca una parte importante nei calcoli di Netanyahu. Permettere che una tale situazione si protraesse avrebbe significato rischiare la sua stessa caduta. E il suo destino personale è un elemento importante in tutta questa situazione.

Come è riuscito a districare la matassa? Egli ha fatto quello che ha fatto per tutto l’anno trascorso: ha innalzato il livello di tensione nella guerra spostando l’attenzione verso Hezbollah, sottolineandone la pericolosità per Israele. Ha dato un’occhiata ai sondaggi di opinione all’interno di Israele e ha potuto constatare che esisteva un appoggio maggiore nei confronti di una guerra contro Hezbollah che nei confronti di Gaza.

Tutti capiscono che Hezbollah è una minaccia maggiore per Israele di quanto Hamas non sia mai stato. Dispone di armi sofisticate e di missili guidati. E così, come ha utilizzato cinicamente gli ostaggi tenuti a Gaza, Netanyahu sta adesso utilizzando cinicamente i 60mila sfollati israeliani dalla frontiera settentrionale del paese. Nuovamente, egli non è realmente preoccupato per loro. D’altronde, come si può dire che stia rendendo il confine con il Libano più sicuro per la sua gente?

Netanyahu non è pazzo

Il comportamento di Netanyahu ha spinto alcuni a dire che è pazzo, ma non è così. Egli è un politico molto astuto. Potrebbe essere uno psicopatico, ma gli psicopatici sono persone intelligenti, ed è per questo che sono così pericolosi. Egli è completamente indifferente a tutta la morte e alla distruzione, a tutta la sofferenza inflitta al popolo palestinese, e non ha alcuno scrupolo ad estendere una tale sofferenza a milioni di persone nella regione.

“Se Hezbollah entrerà in guerra, ridurremo Beirut e il sud del Libano come abbiamo ridotto Gaza”, ha detto ai propri generali sul confine settentrionale. È abbastanza chiaro cosa ciò voglia dire e cominciamo a vederlo ogni giorno sui nostri schermi televisivi.

Gli psicopatici sono anche rinomati per essere abbastanza spregiudicati nel difendere i propri interessi fondamentali. Netanyahu sicuramente rientra in questo tratto. La classe dominante di Israele, tuttavia, sta facendo un grave errore a seguirlo per questa strada. Consideriamo la loro posizione a Gaza. Dopo 12 mesi di bombardamenti incessanti, cosa hanno vinto? Godono dell’appoggio di una superpotenza, gli Stati uniti; hanno armi potenti e tutte le tecnologie più avanzate, ma cosa hanno vinto?

Per rispondere a questa domanda bisogna rammentare quali erano gli obiettivi: il rilascio degli ostaggi e la distruzione di Hamas. Hanno fallito su entrambi i fronti ed è per questo, in parte, che i generali volevano un cessate il fuoco. Essi comprendono che Hamas vince semplicemente perché non ha perso. Tutto ciò che Hamas deve fare è andare avanti, nonostante le terribili perdite.

L’odio e il desiderio di vendetta, che le atrocità compiute da Israele hanno provocato, assicureranno che nuove reclute e combattenti continueranno ad unirsi ad Hamas, che così resterà in piedi, virtualmente all’infinito. Anche solo per questa ragione, Hamas ha vinto ed Israele ha perso.

Ora, se ciò è vero per Gaza, sarà mille volte più vero per il Libano, nonostante le ingenti perdite dell’ultimo periodo. Hezbollah non è Hamas, bensì una forza combattente molto più temibile. Il fatto che stiamo cominciando a vedere perdite più significative tra i soldati israeliani nel Libano meridionale ne è una prova.

Prospettive della guerra in Libano

Hezbollah rappresenta una forza militare molto più professionale di Hamas. Dispone di soldati temprati dalle battaglie che hanno combattuto in Siria. Possiede tecnologia, armi, ecc., che Hamas non ha mai avuto. È vero che non ha un serio sistema di difesa missilistica, che non ha una forza aeronautica e che è ben più debole militarmente dell’esercito israeliano. Ma la sua strategia si basa sul principio di attirare le forze israeliane all’interno del Libano meridionale, dove combatterebbero in territorio di Hezbollah, ribaltando la natura della guerra a svantaggio delle forze di Israele.

La più grande uccisione di soldati israeliani dall’inizio della guerra un anno fa è avvenuta mercoledì 2 ottobre, quando sono stati uccisi otto soldati israeliani e ne sono stati feriti a dozzine. Ciò significa che il colpo più pesante contro l’esercito israeliano è stato inferto giusto all’inizio dell’incursione nel sud del Libano. Questo offre un’indicazione delle caratteristiche che questa guerra potrebbe assumere se si trasformasse in una guerra vera e propria combattuta sul campo. Il fatto che tre carri armati Merkava israeliani siano stati distrutti da razzi teleguidati nel corso dello stesso giorno è un indice di quanto sarà dura per l’esercito israeliano.

Netanyahu dice che l’invasione del Libano sarà una rapida operazione chirurgica. “Abbiamo distrutto molte basi”, dicono gli israeliani. Sicuramente è vero che Israele ha passato anni a studiare Hezbollah, a studiare le sue basi, come funzionano, i suoi quadri, ecc.

Un articolo interessante del Financial Times del 29 settembre, “Come le spie israeliane hanno penetrato Hezbollah”, spiegava che quando Hezbollah andò a combattere in Siria, dovette reclutare molti uomini e, in quel periodo, divenne molto più semplice infiltrarla. C’è anche molta corruzione all’interno di Hezbollah che l’ha resa permeabile ad operazioni come quella degli attacchi ai cercapersone e ai walkie-talkie.

Questi sono tutti elementi che hanno facilitato il drammatico primo attacco di Israele, permettendogli di inserirsi nei sistemi di comunicazione di Hezbollah, sulla qual cosa hanno chiaramente lavorato per molto tempo. L’attacco ai cercapersone ha colpito comandanti e quadri importanti di Hezbollah, ferendo qualcosa come 3mila persone e uccidendone svariate dozzine. Poi, si sono spinti più in là e hanno ucciso il leader, Nasrallah, e molti dei comandanti ai vertici di Hezbollah. Il messaggio che volevano mandare era: “possiamo raggiungervi ovunque siate”.

Tuttavia, sebbene Hezbollah abbia subito un serio colpo, ciò non significa che Israele abbia in alcun modo distrutto la sua organizzazione. Hanno messo in piedi un nuovo centro di comando e adesso stanno contrattaccando. Sul terreno stanno combattendo per difendere il proprio territorio e possiamo già vedere che la guerra avrà un carattere protratto. Ci sarà tanta distruzione, tanti morti – ovviamente Israele può ancora infliggere pesanti danni al Libano meridionale – ma gli israeliani subiranno perdite molto superiori a quelle che hanno avuto in un anno di guerra a Gaza.

Netanyahu è pieno di sé e dei propri successi. Non ha tempo per Biden. Egli intuisce che esiste un vuoto di potere negli Stati Uniti e se ne sta pienamente avvantaggiando. Sa che qualunque critica gli americani possano proferire in pubblico, invieranno sempre a Israele le armi di cui necessita.

La classe dominante sionista di Israele è anch’essa piena di sé e crede che questa sia la sua opportunità per distruggere il regime iraniano. Hanno fatto il salto più lungo della gamba e hanno grossolanamente sottovalutato sia Hezbollah che gli iraniani.

Nonostante tutte le armi e l’appoggio delle potenze imperialiste occidentali, Israele rimane un paese piccolo con una popolazione e delle risorse limitate. Dispone di molte armi, molti missili, ma gli arsenali devono essere approvvigionati e ciò ha un costo. Se si trovassero ad affrontare attacchi missilistici regolari, i loro magazzini verrebbero svuotati. E ciò avverrebbe in un momento in cui gli Stati Uniti sono già sotto pressione, dovendo fornire missili all’Ucraina. Gli Usa non godono di riserve infinite.

Un articolo sul Financial Times, “Israele è alle prese con la carenza di missili per la difesa aerea”, conferma questo fatto citando Dana Stroul, “un ex alto ufficiale della difesa degli Stati Uniti con responsabilità per il Medio Oriente”, che afferma che: “Il problema delle munizioni per Israele è grave. Se l’Iran risponde a un attacco israeliano [con una campagna massiccia di attacchi aerei, Ndr], e Hezbollah si unisce ad esso, le difese aeree di Israele verranno saturate.”

Israele, pertanto, non è nella posizione di combattere una guerra di lunga durata. Una vittoria veloce e brillante è ciò di cui ha bisogno e combacerebbe al meglio con gli interessi di lungo termine di Israele. Ma nel Libano meridionale, l’esercito israeliano si sta per impantanare in una lunga guerra di logoramento.

Oltre a ciò, c’è pericolo crescente di una guerra più ampia. Nel suo discorso alle Nazioni Unite, Netanyahu ha detto chiaramente che può colpire qualsiasi posto in Medio Oriente, non solo il Libano, non solo l’Iran. La sua sceneggiata sul palco delle Nazioni Unite ha marcato un importante cambiamento nei rapporti di forza a livello globale, nel senso che gli Stati Uniti non dominano più il mondo come facevano quando si trovavano in auge.

Netanyahu è pienamente consapevole di ciò e si comporta di conseguenza, cioè agisce in modo da trascinare gli Stati Uniti sempre di più per coinvolgerli dei propri piani di guerra.

Mentre si trovava in America, Netanyahu ha spudoratamente ordinato l’attacco che ha ucciso Nasrallah e si è persino fatto riprendere dalla televisione mentre lo faceva. E quale è stata la reazione del governo Biden? Di pieno appoggio a Netanyahu nella sua guerra nel Libano meridionale.

Gli americani vorrebbero mantenere la guerra circoscritta al Libano e ad incursioni per colpire Hezbollah. Ma ciò che vogliono e come tutto questo andrà a finire sono due cose differenti. Tutti gli analisti seri stanno spiegando che una guerra che inizia con piccole incursioni non si arresterà lì.

Gli Stati Uniti trascinati nel conflitto

Gli attacchi di Netanyahu a Hezbollah, tuttavia, sono anche una chiara provocazione intenzionata a costringere l’Iran ad entrare in guerra. Come abbiamo visto, l’Iran sta agendo in modo da evitare un’escalation. Ma ci sono divisioni all’interno dell’Iran.

Il nuovo presidente iraniano, Pezeshkian, proviene dalla fazione riformista e più moderata. Egli ha pubblicamente affermato: “Noi non vogliamo una guerra”. Rappresenta quella fazione del regime iraniano che vorrebbe intavolare negoziati con l’Occidente per porre fine alle sanzioni e far tornare l’Iran nel gregge, per facilitare il commercio, ecc.

Gli americani pare abbiano detto al presidente iraniano: “tu ti astieni dal replicare [agli israeliani, Ndt] e noi ti garantiremo un cessate il fuoco”. Quest’ultimo si è stupidamente lasciato ingannare e si è astenuto dal condurre un attacco punitivo contro Israele praticamente per due mesi.

Il suo problema è che egli rappresenta solo una fazione all’interno del regime. Ed esiste un’altra fazione, molto potente, conosciuta come quella dei conservatori, che non è felice della posizione di compromesso con l’Occidente di Pezeshkian, che ha danneggiato seriamente la relazione del regime con Hezbollah. Questo è sfociato in aspre recriminazioni e nella sensazione da parte di Hezbollah che l’Iran li stia tradendo.

Pezeshkian ha pagato un prezzo per questo all’interno dell’Iran, dal momento che i conservatori gli si sono scatenati contro, umiliandolo sui social media. La posizione di Pezeshkian veniva comoda a Netanyahu, ma c’è un limite a quello che il regime iraniano può tollerare. L’omicidio di Nasrallah era decisamente troppo ed ha messo il presidente iraniano in una posizione molto difficile.

Dobbiamo rammentare che il presidente non detiene il potere reale in Iran. Al contrario, è la “Guida Suprema” ad essere l’autorità più elevata all’interno del regime e, soprattutto, il comandante in capo delle forze armate. Alla fine, il presidente è stato sopraffatto dalla Guida Suprema, che ha dato l’approvazione per l’attacco missilistico contro Israele.

Tuttavia, anche questa volta gli iraniani hanno dato un “avviso preventivo”, sebbene non con lo stesso anticipo che in aprile. Questa volta hanno dato un preavviso di solo due ore, e non direttamente ad Israele. Nonostante ciò, si tratta di un serio avvertimento, che lascia intendere che la prossima volta non ci sarà alcun preavviso.

Quali che siano le sue divisioni intestine, l’Iran è stato costretto a rispondere. E ora che l’ha fatto, Israele si sta preparando a colpire con ancora maggiore forza. Netanyahu spera di fare sfociare il conflitto in una guerra più ampia, che coinvolgerà non solo l’Iran, ma anche gli Houthi, che hanno anch’essi lanciato missili e che sono stati colpiti da Israele.

L’attacco iraniano, che ha colpito soltanto obiettivi militari, era un avvertimento di cosa ciò potrebbe comportante. Israele ha immediatamente dichiarato di avere “abbattuto il 90%” dei missili in arrivo, per poi ridurre la cifra al 75%. La verità è che molti di quei missili sono riusciti a passare e hanno inflitto danni ingenti. Non sono pronti ad ammetterlo, ma è un fatto. E questo è solo un piccolo avvertimento di quanto potrebbe aspettarli la prossima volta.

Se questa si trasformasse in una guerra in piena regola e gli iraniani utilizzassero pienamente la propria potenza di fuoco, l’Iron Dome si dimostrerebbe incapace di fermare tutti i missili. Ciò significa che gli americani dovrebbero intervenire con un coinvolgimento molto maggiore. L’invio del sistema di difesa missilistica THAAD a Israele è una conferma in questo senso.

Tuttavia, non sarebbe solo Israele ad essere vulnerabile agli attacchi missilistici. Ci sono basi militari americane sparse in tutto il Medio Oriente – ci sono circa 40mila soldati in basi che spaziano dalla Turchia all’Arabia Saudita e al Kuwait, perfino in Siria e in Iraq. Ed esse sono grandemente esposte ad attacchi da parte delle milizie islamiche filo-iraniane.

Questo è già successo nell’ultimo periodo e può avvenire su scala molto più ampia. Simili attacchi eserciterebbero una pressione ulteriore sugli Stati Uniti, costringendoli a reagire. L’esercito americano sta già discutendo con gli israeliani riguardo a una rappresaglia negoziata, a un attacco concordato e “proporzionale” all’Iran.

Non dovremmo dimenticarci che anche la classe dominante americana è da tempo divisa sulla questione dell’Iran. C’è un settore che vorrebbe attaccare apertamente il paese. Per anni, si è trattato di una minoranza, ma cionondimeno esso rappresenta un settore importante della classe dominante americana.

Ad un certo punto, sembrava che gli americani stessero preparando il campo per un attacco contro l’Iran. Poi, sotto Obama, cambiarono la loro politica. Cercarono di fare rientrare l’Iran nel gregge, facendo un accordo in modo da poter sorvegliare i suoi centri di ricerca nucleare. Poi, Trump gettò tutto all’aria, ruppe il precedente accordo e gli iraniani continuarono con il proprio programma di sviluppo nucleare. Adesso, gli equilibri potrebbero nuovamente spostarsi all’interno della classe dominante americana in favore di un appoggio a un attacco israeliano contro l’Iran.

Israele si affida a questa prospettiva e sta considerando di colpire o le raffinerie di petrolio dell’Iran o i suoi centri di ricerca nucleare. Stanno anche considerando di attaccarli entrambi. Gli americani hanno detto a Netanyahu di non intraprendere questa strada. Sono disposti a contemplare un attacco, ma non un attacco contro questi obiettivi, che avrebbe ripercussioni a livello globale. Dovremmo ricordarci che quando gli ucraini attaccarono gli impianti petroliferi russi, gli americani protestarono sonoramente. Dissero agli ucraini di fermarsi, e questi ultimi ubbidirono.

Per adesso, non sembra che Netanyahu stia preparando un attacco contro questi siti strategici. Ma, ogni volta, abbiamo visto lo stesso copione. Gli americani protestano in maniera simbolica su questo o quel dettaglio e, poi, sono costretti, volenti o nolenti, ad acconsentire a qualsiasi cosa Netanyahu faccia.

Questa debolezza è un riflesso del declino a lungo termine degli Stati Uniti e della crisi del sistema. Ogni volta, non resta loro che fare buon viso a cattivo gioco.

Guerre che si collegano

Per quanto il regime iraniano sia diviso, con un settore desideroso di un’apertura maggiore all’Occidente, Israele vede l’Iran come una minaccia esistenziale. E pertanto, a dispetto dei desideri della fazione riformista, l’Iran viene spinto sempre più vicino a Russia e Cina.

Questo è un altro importante aspetto di questa guerra. Essa si sta connettendo sempre di più con la guerra in Ucraina, per il semplice motivo che c’è la stessa grande potenza coinvolta in entrambi i conflitti: gli Stati Uniti. Sebbene non nello stesso esatto modo, ci sono loro dietro la guerra in Ucraina e ci sono loro dietro Netanyahu.

Ragioniamoci su per un momento. Se gli Stati Uniti danno problemi a Putin, se lo minacciano con la prospettiva di permettere agli ucraini di utilizzare missili che possono colpire all’interno della Russia – sebbene l’Occidente abbia adesso scartato questa idea – a quel punto, Putin ha a sua volta molti modi per colpirli. Uno di questi è in Medio Oriente, attraverso l’Iran. L’Iran e la Russia, nonostante i loro interessi differenti, vengono spinti dall’Occidente in un’alleanza di fatto.

Era solo l’anno scorso, per esempio, quando la Russia e l’Iran si sono messi d’accordo per costruire una nuova ferrovia attraverso l’Azerbaijan, che permetterà a Putin di imbastire una nuova rotta di collegamento con il Golfo Persico, che rimpiazzerebbe le vecchie rotte che sono state chiuse dalla sanzioni occidentali. Non possiamo avere dubbi sul fatto che il successo e la precisione degli attacchi iraniani contro obiettivi militari israeliani abbiano richiesto l’assistenza dell’intelligence e dei satelliti russi.

E la Russia non sta solo creando legami con l’Iran. Ci sono resoconti di colloqui tra i russi e gli Houthi riguardo a forniture di missili più avanzati agli Houthi. Questi colloqui sono poi stati interrotti sotto pressione dell’Arabia Saudita. Tuttavia, se gli Stati Uniti dovessero minacciare la Russia mediante l’Ucraina, Putin avrebbe un modo per colpirli. Egli avrà pensato: “voi mi disturbate nel mio cortile di casa, io vi causerò un gran casino nel vostro cortile di casa”. E potrebbe fare questo proprio in Medio Oriente.

Sullo sfondo c’è anche la Cina. Abbiamo visto il suo coinvolgimento nella mediazione di un accordo che ha normalizzato le relazioni tra Iran e Arabia Saudita.

Il comportamento di Netanyahu sta così spingendo l’intera regione verso una guerra generalizzata nella quale gli Stati Uniti, sebbene non necessariamente schiererebbero la fanteria sul terreno, parteciperebbero in difesa di Israele, mandando le proprie navi e inviando rinforzi. Gli inglesi hanno detto che anch’essi parteciperebbero, sfruttando la loro base militare a Cipro, che stanno usando anche gli americani.

Vediamo così aprirsi innanzi a noi un fronte globale che comincia a modellarsi estendendosi dall’Ucraina al Medio Oriente, su un lato del quale abbiamo gli Stati Uniti con i suoi alleati NATO, e dall’altro, Russia ed Iran, con la Cina dietro le quinte.

I regimi arabi sull’orlo del collasso

Lo scenario che si sta evolvendo in questo momento in Medio Oriente ha conseguenze per l’economia mondiale nella sua interezza. Il giorno stesso che l’Iran ha annunciato che stava preparando una rappresaglia, il prezzo del petrolio è schizzato in alto di quattro o cinque dollari nel giro di qualche ora e i mercati azionari sono crollati ovunque. Quando Israele ha annunciato che non avrebbe attaccato i siti petroliferi iraniani, il prezzo del petrolio è tornato al suo valore, ma questo è indicativo di quanto sia volatile il mercato del petrolio di fronte alla prospettiva di un’estensione del conflitto in Medio Oriente.

C’è stato, tuttavia, un indice che non è crollato, bensì cresciuto: le azioni dell’industria bellica sono schizzate proprio nel giorno in cui tutte le altre crollavano. Possiamo immaginare cosa abbiano pensato gli speculatori finanziari: “La guerra si avvicina. Queste sono azioni promettenti sulle quali investire”.

In una situazione in cui l’economia mondiale sta nel migliore dei casi stagnando oppure crescendo lentamente (alcuni paesi sono sull’orlo della recessione, se non vi sono già piombati), una brusca accelerazione in Medio Oriente potrebbe avere l’effetto di far precipitare l’economia mondiale in una recessione.

Il traffico attraverso il Canale di Suez è già stato interrotto dagli attacchi degli Houthi contro le navi mercantili nel Mar Rosso. Questo ha enormemente alzato il costo dei trasporti, il che ha avuto un effetto sull’economia mondiale, soprattutto in Europa. Rimodellare le rotte commerciali dall’Asia circumnavigando l’Africa triplica il costo necessario per spedire un container dalla Cina all’Europa. Una guerra regionale in Medio Oriente potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione.

Se si giungesse a una guerra generalizzata, vedremmo probabilmente la chiusura dello Stretto di Hormuz e di altre rotte commerciali. Questo sarebbe una catastrofe per l’economia mondiale. Se Israele dovesse attaccare i pozzi petroliferi iraniani nel prossimo periodo – possibilmente quando le elezioni americane saranno ormai un ricordo lontano – e l’Iran dovesse attaccare i pozzi petroliferi nei paesi vicini, come ha minacciato di fare, questo avrebbe effetti drammatici sul prezzo del petrolio. Ironicamente, questo scenario rafforzerebbe la Russia, dal momento che Putin comincerebbe a vedere molti più soldi entrare nel paese grazie alle esportazioni di petrolio.

Ciò ricorda la guerra dello Yom Kuppur del 1973 e il successivo embargo del petrolio voluto dai sauditi. Un’economia mondiale che già si dirigeva verso una recessione venne spinta al crollo nel 1974, la prima seria crisi economica dalla Seconda Guerra Mondiale.

Dall’altro lato c’è l’impatto sociale ed economico in tutto il Medio Oriente. Il popolo in questa regione sta già subendo fortemente le conseguenze della crisi mondiale del capitalismo.

L’Egitto, per esempio, si è comportato bene a detta degli imperialisti. Ha collaborato, ha mantenuto le relazioni con Israele e non ha creato problemi al confine con Gaza. In compenso, ha ricevuto un pacchetto di prestiti di 8 miliardi di dollari all’inizio di quest’anno.

Ma come tutti i prestiti, è arrivato con tutto un allegato di condizioni, inclusi tagli massicci ai sussidi per i beni di prima necessità. I prezzi dell’elettricità sono schizzati alle stelle, portando il costo delle bollette energetiche per la gente comune allo stesso livello del costo dell’affitto. Quest’estate, il prezzo del pane si è quadruplicato a causa dei tagli brutali ai sussidi statali. La povertà sta montando enormemente in Egitto.

La Giordania ha vissuto una situazione simile, con le stesse politiche imposte dal FMI e dalla Banca Mondiale. Nel paese, il tasso di disoccupazione supera al momento il 20%. La Giordania è di conseguenza diventato uno dei regimi più instabili della regione. Il paese ospita inoltre una numerosa popolazione palestinese. Allo stesso tempo, il regime sta attivamente collaborando con gli imperialisti.

Quando gli iraniani hanno fatto la loro rappresaglia contro Israele ad aprile, la Giordania ha collaborato all’abbattimento dei missili iraniani, con la scusa che avevano violato lo spazio aereo giordano. Questo è stato giustamente percepito dalle masse giordane come una collaborazione del loro governo con i sionisti e con gli americani. Ci sono state grosse proteste, che il regime ha represso brutalmente.

Questo spiega perché, quando i diplomatici in tutto il mondo fanno appello alla calma, i giordani sono sempre i primi a fare simili dichiarazioni. Sono terrorizzati da un possibile movimento di massa che ad un certo punto potrebbe rovesciarli.

Questi regimi arabi devono gestire questa crisi con attenzione. Questo potrebbe decidere della loro stessa sopravvivenza. La destabilizzazione dell’intera regione, che Netanyahu sta provocando, potrebbe portare alla caduta di molti di questi regimi.

Implicazioni rivoluzionarie più ampie

L’impatto dell’attuale guerra, tuttavia, va ben al di là del Medio Oriente. Essa radicalizzerà ulteriormente i lavoratori e i giovani nei paesi capitalisti avanzati. Tutti quei giovani che hanno preso parte agli accampamenti, alle proteste e alle manifestazioni, vedranno che, nonostante tutto, la guerra si sta inasprendo. Vedono che quello che Israele ha fatto a Gaza sta capitando adesso al Libano.

Ufficialmente, il Libano ha una popolazione di circa sei milioni di persone. Questa cifra è al ribasso, dal momento che ci sono molti rifugiati dalla Siria, ecc. Già adesso, ci sono un milione di sfollati. Più di 2mila persone sono state uccise e siamo soltanto all’inizio. Tutto ciò non può che radicalizzare settori più ampi. E man mano che l’America si trova sempre più coinvolta, ciò avrà un effetto su un settore significativo della gioventù e della classe operaia americana.

Negli Stati Uniti, questo sta già avendo un effetto sulla campagna presidenziale. Alcuni analisti stanno dicendo che la guerra rappresenta un regalo elettorale a Trump. Non possiamo prevedere esattamente come andranno le elezioni, poiché pare che al momento la Harris e Trump siano testa a testa. Ma un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti farebbe riaffiorare la memoria del ruolo dell’America in Vietnam ed avrebbe come effetto la radicalizzazione di ampi settori della gioventù e dei lavoratori in America.

In Gran Bretagna, quando Starmer fa un discorso nel quale giustifica completamente quello che Israele sta facendo, nel quale afferma che la Gran Bretagna ha partecipato all’abbattimento dei missili iraniani, chiarisce che il governo laburista non sta appoggiando Israele solo a parole. Esso sta attivamente sostenendo la guerra di Netanyahu, con l’aeronautica inglese che assiste le forze israeliane nelle loro operazioni a Gaza.

In queste condizioni, la nostra lotta come comunisti è contro i guerrafondai. Il nostro nemico principale è proprio qui, in casa nostra. Le stesse persone che appoggiano la barbarie a Gaza, in Libano, stanno attaccando i pensionati, tagliando i sussidi per il riscaldamento agli anziani in Gran Bretagna.

Questi stessi criminali che sono pronti a lasciar morire di freddo gli anziani nelle loro case, appoggiano il fatto che si uccidano, si carbonizzino e si affamino migliaia di persone in Medio Oriente. Si fa fatica a credere alla barbarie cui assistiamo ogni giorno: bambini cui si spara in testa e alla schiena, pazienti bruciati vivi nei letti degli ospedali, interi villaggi demoliti con l’esplosivo, milioni di persone cacciate dalle proprie case, popolazioni intere cui viene detto: “arrendetevi o morite di fame”.

Oggi, gli imperialisti stanno imboccando una strada che comporta un’ulteriore estensione di questo orrore, in tutta la regione e oltre. Oggi è più chiaro che mai: il capitalismo deve morire, l’imperialismo deve morire, per permettere che l’umanità viva.

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