La crisi del capitalismo europeo

Pubblichiamo la dichiarazione sull’attuale situazione in Europa discussa e approvata al recente congresso della Tendenza marxista internazionale, di cui fa parte Falcemartello.

La crisi dell’euro ricorda una lunga e mortale agonia. Ogni giorno c’è un summit decisivo, in cui ogni volta viene proclamata la soluzione definitiva della crisi. Il mercato si riprende per qualche ora, o giorno, e poi crolla di nuovo. Gli indici di Borsa europei ricordano il termometro che prende la temperatura a un malato terminale.

Questa turbolenza dei mercati riflette accuratamente lo stato mentale della borghesia, caratterizzato da un estremo nervosismo. Questo a sua volta è un riflesso del fatto che la crisi attuale non ha eguali per la sua portata. La borghesia si trova in acque sconosciute senza una mappa o una bussola.

Il futuro dell’Euro

Non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che i veri ostacoli per la crescita all’interno del sistema capitalista sono la proprietà privata dei mezzi di produzione e lo Stato nazionale.

La creazione stessa della Unione Europea è stata un tentativo da parte della borghesia europea (su tutte, quella francese e quella tedesca) di oltrepassare i limiti dello Stato nazionale creando un mercato comune che avrebbe dovuto portare a un’unione ancora maggiore. L’introduzione della moneta comune era intesa come un passo fondamentale in quella direzione.

Comunque, come abbiamo già spiegato, il tentativo di creare, su basi capitaliste, un rigido sistema monetario che fosse ugualmente applicabile a economie così diverse come la Germania e la Grecia era destinato a fallire. Poteva durare solo in concomitanza con il boom economico, ma il crollo dell’economia ha portato a galla tutte le contraddizioni e gli antagonismi. L’euro (ma anche la stessa Ue) è sull’orlo del collasso.

L’euro non è la causa della crisi del capitalismo europeo, ma ha esacerbato enormemente i problemi, specialmente delle economie più deboli, come la Grecia o l’Italia. In passato le borghesie greca e italiana potevano tirarsi parzialmente fuori dai guai svalutando la moneta. Ma ora questa strada per loro è sbarrata. L’unica alternativa che hanno è quella che chiamano “svalutazione interna”. Dal momento che i prodotti commerciali non possono guadagnare competitività sul mercato tramite la svalutazione della moneta, allora, al suo posto, devono essere tagliati i salari, sia nel settore privato che pubblico. Questo ha come unica conseguenza un regime di austerità permanente e di attacco al tenore di vita.

Non importa cosa facciano ora i governanti dell’Europa, sarà comunque sbagliato. Ogni tentativo di tenere in vita l’euro peserà come un fardello intollerabile sulle risorse finanziare della Ue. Significherebbe solo anni o decenni di tagli, austerità e crollo del tenore di vita. Cioè, una ricetta bell’e pronta per la lotta di classe. D’altro canto il crollo dell’euro provocherà una catastrofe economica, che spingerà l’intera Europa (e non solo la zona euro) in una crisi ancora più profonda.

Questo dilemma porterà a spaccature e tensioni tra le diverse borghesie nazionali, in particolare tra Francia e Germania. François Hollande ha ottenuto un’ampia vittoria elettorale sia alle elezioni presidenziali che a quelle politiche. Ora subirà pressioni perchè realizzi almeno una delle riforme che ha promesso di fare in campagna elettorale. Ma ha anche promesso di ridurre il deficit pubblico del 3% nel prossimo anno. Due obiettivi che si escludono a vicenda.

D’altra parte, Angela Merkel chiede la piena attuazione dei piani di austerità e dei tagli. La borghesia tedesca sta chiedendo disciplina e spese bilanciate. Hollande chiede crescita; la Merkel chiede tagli. Più precisamente, la classe dominante francese vuole che quella tedesca paghi per stimolare le economie degli altri paesi europei, mentre la classe dominante tedesca vuole che gli altri capitalisti facciano pagare la crisi ai propri lavoratori. Come possono mettersi d’accordo? C’è quindi una frattura aperta nel cuore dell’Europa.

La questione del debito

L’espressione più plastica della crisi è il debito pubblico. Tuttavia, questa non è la causa della crisi, ma solo un sintomo della malattia del capitalismo. Il debito pubblico e soprattutto tutti i disavanzi di bilancio sono significativamente cresciuti a causa dei salvataggi delle banche e la recessione economica in sé (che diminuisce le entrate fiscali, mentre aumenta la spesa sociale in indennità di disoccupazione, per esempio).

In ogni boom capitalista c’è un elemento di speculazione, che si rivela solo con l’inizio della crisi. L’unica differenza con questa crisi è la scala molto vasta della speculazione. Negli ultimi tre decenni, la borghesia ha tentato di evitare una recessione con una espansione senza precedenti del credito.

Marx ha spiegato che il ruolo del credito sotto il capitalismo è quello di permettere di andare oltre i suoi limiti normali. Una crisi di sovrapproduzione può essere ritardata artificialmente per un certo tempo espandendo la domanda attraverso il credito al consumo. Le banche hanno partecipato attivamente a questa orgia estendendo il credito a persone che non sarebbero mai state considerate affidabili in passato. Ed è stata questa la base della bolla immobiliare negli Stati Uniti e negli altri paesi.

Il risultato fu la crisi bancaria del 2008. Il tentativo di salvare il sistema bancario iniettando enormi quantità di denaro dello Stato è uno dei fattori principali dietro il recente aumento massiccio del debito pubblico, che ora vogliono far pagare alla classe operaia. Tutti i fattori che contribuivano a spingere l’economia mondiale verso l’alto ora la spingono in una spirale incontrollabile verso il basso. La borghesia è ora di fronte alle conseguenze dei suoi eccessi precedenti. La conseguenza principale è una montagna di debiti accumulati: privati, aziendali e pubblici. La domanda è: chi paga? È la stessa domanda posta in Francia nel 1789 e, proprio come allora, la risposta avrà implicazioni rivoluzionarie.

Marx spiega che, quando arriva la crisi, il credito si prosciuga, gli investimenti produttivi si bloccano, le fabbriche chiudono e i lavoratori vengono licenziati. Il borghese chiede che tutti i debiti vengano pagati. Gli usurai sono spietati. Le promesse di pagamento non sono più accettate: dateci denaro contante! Questa è la loro richiesta implacabile, e si applica tanto ai paesi e ai governi quanto alle aziende e ai privati.

La Germania e l’Euro

La riunificazione della Germania ha dato nuova vita a vecchie ambizioni. Anche se in teoria la Francia e la Germania sono partner alla pari, tutti sanno che è la Germania il capo. La borghesia tedesca ha nelle sue mani una potente economia basata su una forte industria ed è la Bundesbank a tenere i cordoni della borsa in Europa.

Durante il boom il tenore di vita in Europa è generalmente cresciuto, ma è stato un processo molto irregolare. Anche durante il boom la borghesia ha esercitato una pressione spietata sui lavoratori per aumentare la produttività, lavorando più velocemente e per più ore. C’è stato un inesorabile processo di precarizzazione, con i contratti a tempo pieno trasformati in contratti part-time, con salari più bassi e condizioni peggiori.

In Germania, che è fortemente dipendente dalla esportazione dei suoi prodotti industriali, i capitalisti hanno spremuto i lavoratori senza pietà per estrarre fino all’ultima goccia di plusvalore. Nel decennio precedente al 2008 il costo unitario del lavoro è aumentato del 30% in Italia, del 35% in Spagna, del 42% in Grecia, ma solo del 7% in Germania. I salari reali tedeschi sono stati tenuti bassi, la produttività è aumentata e le esportazioni hanno conosciuto un boom. Ma qualcuno doveva importare ciò che la Germania esportava.

La creazione dell’euro ha quindi avvantaggiato i capitalisti tedeschi. Ha fornito loro un grande mercato per le loro esportazioni (il 60% delle quali destinato ai paesi Ue), le quali sono state rese altamente competitive da una combinazione di bassi salari e dall’applicazione dei macchinari più moderni. Al fine di espandere il mercato per le sue esportazioni, la Germania ha fatto pressioni sugli altri paesi ad accettare prestiti per aumentare la domanda. Il denaro che è stato prestato alla Grecia e ad altri paesi è stato utilizzato per l’acquisto di merci tedesche, su vasta scala.

Se la Germania è un esportatore e un creditore, altre nazioni europee devono essere gli importatori e i debitori. Il rapporto debitore-creditore andava molto bene, mentre l’economia era in pieno boom. Ma quando è stato presentato il conto, non c’erano i soldi con cui pagarlo.

L’anello più debole

Ogni catena si rompe sempre nel suo anello più debole. La Grecia è l’anello più debole della catena del capitalismo europeo. È il malato d’Europa. Ma ci sono molti malati in questo ospedale piuttosto particolare. Alcuni sono già in terapia intensiva (Grecia, Irlanda e Portogallo), altri sono quasi nella stessa condizione (Spagna e Italia). Francia e Belgio non sono troppo indietro. Gli altri sono nella sala d’attesa. Ma alla fine tutti si ammaleranno nella stessa maniera.

L’idea che sia possibile per paesi come Germania, Finlandia e Austria essere immuni dalla malattia generale europea è un’illusione. Non ci sono più mercati nazionali in Europa. L’Europa è stata modellata come un unico mercato con un alto grado di integrazione economica. Il destino di uno avrà gravi effetti sul destino di tutti. E questo è vero anche per i più piccoli, come la Grecia.

La borghesia internazionale era preoccupata che una vittoria di Syriza potesse comportare l’immediata uscita della Grecia dalla zona euro, provocando una concatenazione di circostanze che avrebbero potuto mettere in pericolo il futuro dello stesso euro, scatenando a sua volta una crisi profonda su un scala mondiale.

Quando questo risultato è stato evitato con la vittoria di misura di Samaras e di Nuova democrazia, la borghesia ha tirato un sospiro di sollievo. Si poteva ipotizzare che l’Unione europea (cioè, Angela Merkel) avrebbe gettato un’ancora di salvezza per Samaras, o almeno che mandasse qualche segnale che avrebbe potuto essere interpretato come una promessa futura di sollievo per le popolazioni martoriate della Grecia. Invece, il cancelliere tedesco si è voltato con una faccia impassibile verso Atene e ha chiarito che non si trattava di rinegoziare alcunchè.

In realtà, la classe dominante tedesca si trova di fronte a un dilemma. Da un lato, non vogliono sottoscrivere i debiti del resto d’Europa e sarebbero felici di vedere la Grecia uscire dalla moneta unica. D’altra parte, temono le conseguenze di una crisi bancaria europea che sarebbe l’inevitabile risultato di una uscita greca dalla zona euro. Questo dilemma porta ad una sorta di paralisi della volontà e a costanti indecisioni, quando è richiesta un’azione decisiva. Lo abbiamo visto di nuovo all’ultimo vertice Ue. I leader dell’Ue ricordano l’imperatore Nerone, che suonava la cetra mentre le fiamme si alzavano tutto intorno a lui.

Spagna

Le fiamme hanno raggiunto la Spagna, che ora si trova nell’occhio del ciclone della crisi economica europea. Grecia, Irlanda e Portogallo sono, in senso letterale, paesi periferici della Ue. Ma la Spagna è più grande di tutti e tre messi insieme. E l’Italia è uno dei principali paesi della stessa Unione europea. Un crollo economico in questi paesi avrebbe quindi le più gravi conseguenze per tutta l’Europa.

Per 14 anni (1994-2008), la Spagna ha evitato una recessione. Aveva uno dei più alti tassi di crescita in Europa ed ha creato più posti di lavoro di qualsiasi altro paese della Ue. Sembrava che il boom sarebbe durato per sempre. Ma il boom è stato in gran parte sospinto da una bolla immobiliare speculativa, nutrita dal credito facile a basso costo concesso dalle banche.

La fine del boom ha portato a galla tutte le contraddizioni. Il mercato immobiliare spagnolo è crollato. I prezzi delle case sono crollati e molte famiglie hanno perso le loro case, mentre migliaia di proprietà rimangono vuote. Di conseguenza, il settore delle costruzioni è in crisi e molti lavoratori edili hanno perso il lavoro, andando ad ingrossare le fila dei disoccupati.

La disoccupazione ora è ufficialmente al 25%, la più alta in Europa. Più della metà dei giovani spagnoli sono senza lavoro. La crescita della disoccupazione significa un forte calo della domanda e anche delle entrate fiscali. Ulteriori tagli possono solo aggravare il problema, come abbiamo già visto in Grecia.

La Spagna è in recessione da quattro anni e il sistema bancario spagnolo è in una crisi profonda. Al fine di prevenire un collasso totale, l’Ue è stata costretta a prestare quasi 100 miliardi di euro, anche se questa enorme somma non sarà sufficiente per tappare il buco nero nei bilanci delle banche spagnole. Nessuno conosce la reale entità dei crediti inesigibili delle banche: 150 miliardi? 250 miliardi? È impossibile dirlo. Ma è chiaro che il prestito di 100 miliardi è solo l’inizio.

Ancor prima che i tagli massicci di austerità del nuovo governo del Partido popular fossero annunciati avevamo già visto ondate di scioperi e mobilitazioni regionali e di settore. Il movimento degli Indignados, con manifestazioni di massa in maggio, giugno e ottobre 2011 è stato a sua volta un riflesso di questo accumulo di rabbia e ha contribuito a cambiare l’umore generale tra la classe operaia.

La Spagna sta seguendo lo stesso percorso della Grecia e i risultati saranno simili, ma su una scala molto più grande. Il governo Rajoy è un governo di crisi. La sua base elettorale si sta riducendo velocemente. Con i dirigenti del Psoe spinti verso l’unità nazionale, la principale beneficiaria – a sinistra del Psoe – ne è stata la coalizione di Izquierda unida (Iu, Sinistra unita), costruita attorno al Partito comunista, che ha notevolmente aumentato i suoi voti. Nei sondaggi nazionali, Iu è cresciuta dal 6,9% alle elezioni di novembre 2011 al 11,6% attuale.

Ciò conferma lo stesso orientamento a sinistra che abbiamo visto in Grecia e in Francia. Gli strateghi del capitale seri stanno già avvertendo delle implicazioni rivoluzionarie di tagli massicci alla spesa pubblica. Un articolo del Financial Times firmato da Wolfgang Münchau e intitolato “La Spagna ha accettato una missione impossibile”, la pone in termini netti: “Lo sforzo della Spagna per ridurre il disavanzo non è solo cattiva economia, è fisicamente impossibile, quindi dovrà accadere qualcos’altro. O la Spagna mancherà l’obiettivo, o il governo spagnolo dovrà licenziare talmente tanti infermieri e insegnanti che il risultato sarà una insurrezione politica” (15 aprile, corsivo nostro).

Italia

La situazione che il capitalismo italiano si trova di fronte è, se possibile, ancora peggiore di quella spagnola, che ha almeno in parte ricapitalizzato il proprio debito con l’aiuto della Ue. Ma il livello di indebitamento dell’Italia è ancora superiore. è stato così per molti anni, ma ora la situazione è diventata critica.

L’indebitamento dell’Italia ha raggiunto il 120% del Pil nel passato, eppure non ha causato gravi problemi perché si poteva sempre svalutare la lira per ottenere un vantaggio competitivo per le esportazioni italiane. In parte, la borghesia italiana ha acquistato la stabilità sociale mantenendo un elevato livello di debito. Si può sempre trovare acquirenti per il debito italiano nei mercati internazionali. Ma tutto questo è cambiato.

L’avvento dell’euro ha bloccato quella via di uscita. L’Italia ha perso competitività a favore della Germania, e il problema è stato esacerbato dalla concorrenza della Cina. L’economia italiana è stagnante da molto tempo.

Dal momento che la strada della svalutazione è bloccata, l’unica alternativa è quella di lanciare un attacco a tutto campo al tenore di vita delle masse. Qualche anno fa, anche prima della crisi, The Economist ha dichiarato che, perché l’Italia potesse recuperare la sua competitività internazionale, avrebbe dovuto licenziare circa mezzo milione di lavoratori e coloro che rimanevano avrebbero dovuto accettare un taglio del salario del 30%. Questo è il vero significato di quello che viene chiamata una “svalutazione interna”. Ed è il vero programma della borghesia italiana.

Il caso Italia mette in evidenza il problema centrale della borghesia europea: la forza della classe operaia. Per decenni i lavoratori europei sono stati abituati a un certo standard di vita. Hanno conquistato le condizioni di una esistenza almeno semi-civilizzata. Per la classe dominante ora è molto difficile ritirare le riforme e le concessioni del passato.

Il problema è che la borghesia italiana è priva di un forte partito e di un governo stabile per attuare questo programma. Berlusconi non è riuscito a realizzare ciò che era necessario. Il governo “di sinistra” di Prodi è andato oltre, ma è finito in mille pezzi per averci provato. Il governo di “unità nazionale” di Monti ha visto un crollo di appoggio in pochi mesi. Tutti si sono arenati sulla resistenza della classe operaia italiana.

La strada è aperta ad una esplosione della lotta di classe in Italia, che offrirà ai marxisti italiani grandi opportunità.

Grecia

La prospettiva di un governo di Syriza ha provocato un’ondata di panico nella borghesia greca e a livello internazionale. Hanno organizzato una massiccia campagna per allontanare la gente da Syriza spiegando che, se fosse andata al potere, ci sarebbe stata una catastrofe economica. Questo è stato sufficiente a mandare nel panico ampi settori della piccola borghesia, anziani e strati sociali arretrati spingendoli a votare per Nuova democrazia.

Tuttavia, il risultato elettorale non ha risolto nulla. I problemi economici rimangono quelli di prima. C’è una calma molto fragile e temporanea nella situazione, che non durerà a lungo. L’umore tra le masse è scettico e pessimista come prima delle elezioni. Anche tra coloro che hanno votato per Nuova democrazia pochi credono che Samaras otterrà qualcosa. Questa non è una base molto solida da cui lanciare una nuova serie di attacchi contro le condizioni di vita del popolo greco!

Dopo tre anni di continue lotte e sconvolgimenti, ci sarà anche un elemento di stanchezza tra le masse greche. Ci può essere una tregua temporanea. Ma sono inevitabili nuovi sconvolgimenti nel prossimo periodo. In realtà, Tsipras è stato fortunato a non aver vinto le elezioni. Un governo Syriza sarebbe stato subito messo sotto pressione dalla borghesia e dalle masse, mentre ora Samaras dovrà risolvere una crisi che su base capitalistica non può essere risolta.

Il sostegno elettorale per Nuova democrazia inizierà presto a erodersi. All’opposizione Syriza crescerà e ciò già comincia a vedersi.

Tuttavia, Syriza in sé è ancora un guscio vuoto. Molti dei suoi quadri sono burocrati riformisti, ex-stalinisti che hanno portato con sé le peggiori tradizioni del partito di provenienza e un buon numero di scettici vecchi riformisti eurocomunisti. Il problema è aggravato da un afflusso di settari, la cui unica esperienza è perdere tempo senza fare alcuno sforzo serio per organizzare i militanti. Si tratta di gravi ostacoli alla costruzione di un vero partito comunista. Ma il partito sarà costruito comunque, e le masse sapranno come trattare con queste gente.

All’interno di Syriza ci sono tendenze diverse: a destra come a sinistra. Tsipras stesso oggi è a sinistra ma il suo programma è confuso e in una situazione come questa, la confusione è molto pericolosa.

L’elemento decisivo è il lavoro dei marxisti greci dentro Syriza. Partendo da una base relativamente debole, stanno cominciando a crescere e a mettere forti radici nel movimento.

Nelle ultime elezioni Syriza ha ottenuto il 52% del voto dei giovani dai 18 ai 24 anni. Questo è un fatto molto importante. Ora dobbiamo concentrarci su questo strato. Nel 1917 i menscevichi accusavano i bolscevichi di essere un “partito di ragazzini”, che era in gran parte vero. La composizione del partito bolscevico era molto giovane. I menscevichi erano attivisti sindacali in gran parte anziani, inclini al riformismo.

Le nostre principali parole d’ordine sono: organizzati in Syriza! Per una Syriza rivoluzionaria! Costruire la tendenza marxista rivoluzionaria di Syriza! Su questa base recluteremo gli elementi migliori e condurremo una lotta per una coerente politica marxista.

Una crisi del regime

Trotskij spiegò che sono i cambiamenti repentini e improvvisi della situazione che creano la coscienza rivoluzionaria delle masse. La crisi sta scuotendo le masse dalla loro apatia in tutto il mondo. C’è un fermento crescente nella società. Si va sviluppando un ambiente critico e di messa in discussione del sistema mai visto prima.

Questa crisi sta rapidamente mostrando agli occhi delle masse tutto il marciume di questa società e delle sue istituzioni. Un pezzo dell’establishment dopo l’altro viene convocato davanti al giudizio dell’opinione pubblica e condannato: banchieri, politici, primi ministri e presidenti, magnati della stampa e vescovi. Tutti coloro che prima erano rispettati e riveriti sono disprezzati o detestati.

Le masse sono alla ricerca di una via d’uscita dalla crisi. L’instabilità politica si può esprimere attraverso violenti spostamenti a sinistra e a destra dell’opinione pubblica, vale a dire principalmente della piccola borghesia. Il fallimento del riformismo provoca delusione fra le masse che si riflette nell’astensionismo elettorale. Ma nella situazione attuale tale ambiente non può durare a lungo. Tutte le organizzazioni di massa saranno messe alla prova. Ci saranno crisi, fermento e scissioni, con la nascita di nuove formazioni politiche, come Syriza, Die linke e il Front de gauche, da quelle esistenti.

Il prossimo periodo vedrà una forte polarizzazione verso sinistra e verso destra, come vediamo già in Grecia e in Francia. Per ragioni che abbiamo spiegato molte volte, non vi è alcuna possibilità di reazione fascista o bonapartista in Europa nell’immediato futuro. Tuttavia, la crescita di Alba dorata è un avvertimento su cosa aspettarsi se la classe operaia non riesce a prendere il potere in Grecia. Nell’immediato futuro, la borghesia è costretta a governare attraverso i meccanismi della democrazia borghese. In realtà, essi devono appoggiarsi sulle direzioni dei sindacati e dei partiti di sinistra.

Tuttavia, con il peggioramento della crisi, la borghesia arriverà a pensare che ci sono troppi scioperi, troppe manifestazioni, troppo caos. Si comincerà a parlare di ordine. Sorgeranno complotti e cospirazioni, come quelli dietro a Gladio negli anni ’70. Tuttavia molto prima che si ponga la questione della reazione bonapartista, la classe operaia avrà molte opportunità di prendere il potere. Un tentativo prematuro di un colpo di stato, ad esempio in Grecia, provocherebbe una feroce resistenza che potrebbe portare allo scoppio della rivoluzione.

Ovunque si vede il pesante fardello del passato, che pesa come una montagna sulla coscienza delle masse ed è particolarmente evidente nella direzione delle organizzazioni di massa. I leader riformisti dei sindacati e dei partiti di sinistra vivono nel passato. Ma anche le menti dei delegati sindacali e degli attivisti di sinistra sono spesso offuscate dai ricordi delle passate sconfitte. Sono infettati da stati d’animo pieni di scetticismo e cinismo. Ci vorranno grandi eventi per rianimare questi strati, e molti semplicemente abbandoneranno del tutto la politica e verranno sostituiti da una nuova generazione che non è gravata dai ricordi del passato.

Nessuna via di uscita

Qual è la situazione ora? L’economia mondiale è nella più profonda crisi della storia. Gli Stati Uniti hanno un deficit enorme, sia esterno che interno. La nazione prima principale creditore del mondo è ora uno dei più grandi debitori. E per quanto riguarda la Germania, non c’è abbastanza denaro alla Bundesbank per salvare la Spagna e l’Italia. I debiti della sola Italia sono quasi duemila miliardi di euro.

Alle richieste insistenti di Eurobond, la Merkel ha risposto: certo, ma chiediamo che tutti i debiti siano presi in accordo con la Ue (cioè, la Germania) prima di essere presentati ai parlamenti nazionali. Chiediamo anche che l’Unione europea (cioè la Germania) abbia il diritto di interferire con i budget di spesa e possa porre il veto a spese inaccettabili. Vale a dire: la Germania si impegnerà a sottoscrivere i vostri debiti quando accetterete di consegnarci la sovranità nazionale.

È altamente improbabile che Francia, Italia e Spagna sarebbero d’accordo a rinunciare alla loro indipendenza per compiacere la Merkel e la Bundesbank. Anche se Hollande, Rajoy e Monti si sono detti d’accordo, dovrebbero far prima ratificare la cosa dai rispettivi parlamenti nazionali, e probabilmente anche tenere un referendum, il che richiederebbe anni e porterebbe a discussioni interminabili, ma la crisi dell’euro c’è ora e i mercati non attenderanno il farraginoso funzionamento della democrazia parlamentare per risolvere la questione.

L’utopismo dei riformisti

I riformisti non hanno alcuna soluzione per la crisi. Accettano il sistema capitalistico e il suo funzionamento. Nella loro cecità, credono che i tagli siano il frutto di ignoranza o di “motivazioni ideologiche”. Alcuni hanno tentato di incolpare le agenzie di rating. È come incolpare un termometro perché registra la febbre. Se il termometro è rotto, non per questo la febbre se ne va. Se si vietassero le agenzie di rating, i mercati continuerebbero a funzionare come prima. E nel capitalismo, quale legge può impedire alla borghesia di spostare i soldi dai mercati pericolosi o non redditizi trasferendoli in quelli più sicuri o più redditizi?

Slogan come “tassare i ricchi” possono avere un effetto positivo come parola d’ordine agitativa, ma non hanno alcun contenuto scientifico. Hollande propone di aumentare l’imposta sui redditi più alti al 75%. Questo sicuramente gli ha fatto guadagnare voti, ma se cercherà di metterla in pratica, porterà immediatamente a una fuga di capitali massiccia dalla Francia alla Svizzera o anche verso la Gran Bretagna, dove Cameron ha detto che li accoglierà a braccia aperte (cosa che non ha molto migliorato le relazioni tra Parigi e Londra).

Il problema con il riformismo (in particolare con quello di sinistra) è che, interferendo con il mercato, senza eliminarlo, rende impossibile al capitalismo di funzionare normalmente. Nel caso della Francia, se Hollande tentasse di mettere in pratica il suo programma, otterrebbe uno sciopero di massa del capitale che lo costringerebbe a cambiare rotta. È ciò che successe a Mitterrand in passato, solo che la situazione è di gran lunga peggiore che nel 1981 e il voltafaccia di Hollande sarà molto più veloce e più brusco. Ciò causerà una nuova esplosione di lotta di classe, con una crescita del Fronte de gauche e un fermento nelle file del Partito socialista.

Qual è il problema? La classe operaia ha dimostrato che è disposta a rispondere a un appello per azioni audaci, se viene fatto. Ma i suoi dirigenti non hanno alcuna fiducia nella classe operaia o in se stessi. Anche il migliore dei dirigenti di sinistra è riluttante ad andare fino in fondo. Sono sempre alla ricerca di qualche soluzione “intelligente” che permetterà loro di evitare un conflitto diretto con la classe dominante. Ma senza un tale scontro una via d’uscita è impossibile, e queste parole d’ordine “intelligenti” porteranno solo a una crisi ancora peggiore.

Tsipras è diventato molto popolare fornendo un’immagine di sinistra di sè e opponendosi all’austerità. Ma il suo programma è completamente utopico. Vuole far restare la Grecia nella zona dell’euro, pur respingendo le condizioni dettate da Bruxelles e Berlino. I dirigenti della tendenza di Lafazanis all’interno del Synaspismos vogliono che la Grecia torni alla dracma. Ma la prima opzione è stata respinta dai leader borghesi della Ue, mentre la seconda è una ricetta per il crollo economico. In realtà, non esiste una soluzione alla crisi per le masse greche sia dentro che fuori l’euro. Chi sostiene il contrario, inganna la classe operaia.

L’idea che la soluzione sia quella del rifiuto del pagamento del debito, pur rimanendo all’interno del capitalismo è tipica dei concetti utopici della piccola borghesia radicale. A meno che questo slogan non si leghi alla espropriazione dei banchieri e dei capitalisti, porterebbe al crollo economico. Questo dimostra la natura limitata del programma di Tsipras, che sembra credere che la Grecia può evitare di pagare i suoi debiti ai banchieri tedeschi e francesi, pur rimanendo nella zona euro. Questo è totalmente utopico. La Grecia si troverebbe presto fuori non solo dall’area euro ma anche dell’Ue.

L’unica parola transitoria corretta è la nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo. Questi parassiti hanno già avuto troppo denaro pubblico. Non un solo centesimo vada ai banchieri! Solo nazionalizzando le banche e le compagnie di assicurazione, sarà possibile dirigersi verso un’economia razionalmente pianificata.

L’espropriazione del capitale finanziario offrirà molte opportunità di risolvere i problemi della società. Tuttavia, la nazionalizzazione delle banche è di per sé insufficiente. Anche se l’intero sistema bancario fosse nazionalizzato, l’anarchia del capitalismo non cesserebbe. È necessario nazionalizzare i grandi monopoli che dominano l’economia, sotto il controllo democratico e la gestione dei lavoratori. Le “leve” dell’economia devono essere nelle mani dello Stato, e lo Stato nelle mani della classe operaia. Solo allora sarà possibile pianificare le forze produttive in modo razionale e armonioso.

Dobbiamo dire la verità alla classe lavoratrice greca, c’è una sola opzione: prendere il potere e fare appello ai lavoratori di tutta Europa a seguire questo esempio. Abbasso l’Europa dei banchieri e dei capitalisti! Per gli Stati uniti socialisti d’Europa! Questo è il nostro slogan. Se i lavoratori greci prendessero il potere, ciò avrebbe un effetto elettrizzante sui lavoratori di tutta Europa, a cominciare da Spagna, Italia, Portogallo e Francia. Avrebbe un grande impatto simile alla rivoluzione russa del 1917. L’intera situazione si trasformerebbe.

Mentre presentiamo il nostro programma socialista su come riorganizzare la società sulla base degli interessi della classe operaia, non dobbiamo mai perdere di vista l’aspetto centrale dell’agitazione rispetto a misure immediate che devono essere prese per difendere i lavoratori come il rifiuto del Memorandum e di tutte le misure di austerità imposte dall’Ue: il reintegro di tutti i lavoratori licenziati, la rinazionalizzazione di tutto ciò che è stato privatizzato, la cancellazione dei tagli a pensioni e salari.

In paesi come Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia, il deficit di bilancio e il debito pubblico stanno diventando questioni chiave e la classe dominante è costretta a portare avanti tagli massicci. Chiediamo l’immediata sospensione di tutti i pagamenti degli interessi sul debito pubblico e assieme a ciò il ripudio del debito (in contrasto con lo slogan riformista dell’“audit” contabile sul debito). Ciò solleverebbe immediatamente la questione di come questi governi potrebbero finanziare la spesa pubblica. Rispondiamo: attraverso l’espropriazione senza indennizzo di tutto il settore bancario e assicurativo e la sua centralizzazione in una banca statale nazionale da utilizzare per la pianificazione dell’economia.

La nazionalizzazione dei mezzi di produzione, di distribuzione e di scambio permetterebbe di usare queste risorse, oggi lasciate inattive per l’anarchia del capitalismo. In Spagna le banche e le cajas (casse di risparmio) possiedono migliaia di immobili vuoti. Allo stesso tempo, vi è un vasto e crescente numero di persone senza una casa. Chiediamo che le case vuote siano date ai senzatetto.

Ci sono milioni di disoccupati (11% in tutta l’Ue) e molti bisogni sociali da soddisfare. L’introduzione immediata delle 35 ore settimanali a parità di salario permetterebbe di mobilitare milioni di lavoratori disoccupati per costruire case, scuole, strade e ospedali per soddisfare le esigenze della società.

Certo, non vi è nulla di magico nelle rivendicazioni transitorie che, come diceva Trotskij, non sono sufficienti: “Naturalmente la scala mobile e l’autodifesa operaia non sono sufficienti. Questi sono solo i primi passi necessari per proteggere i lavoratori dalla fame e dai coltelli fascisti. Si tratta di mezzi urgenti e necessari di autodifesa. Ma da soli non risolveranno il problema. Il compito principale è quello di preparare la strada a un sistema economico migliore, per un più giusto razionale e decente uso delle forze produttive nell’interesse di tutti. Ciò non può essere raggiunto dagli ordinari, ‘normali’ metodi dei sindacati. Non si può negarlo, perché nelle condizioni di declino capitalista, i sindacati isolati sono incapaci di fermare anche solo l’ulteriore deterioramento delle condizioni dei lavoratori. Sono necessari metodi più decisi e che agiscano in profondità. La borghesia, che possiede i mezzi di produzione e il potere statale, ha portato l’intera economia in uno stato di totale disordine senza via d’uscita. È necessario dichiarare la bancarotta della borghesia e trasferire l’economia in mani nuove e oneste, cioè nelle mani dei lavoratori.” (discussione con un funzionario del Cio, 29 settembre 1938, nostra enfasi).

Queste parole di Trotskij esprimono l’essenza della parola d’ordine della transizione, ossia indicano la rivoluzione socialista come unica via d’uscita. La gravità della crisi è tale che in paesi come la Grecia già molte persone – non solo gli operai d’avanguardia e i giovani – stanno traendo conclusioni rivoluzionarie. Dobbiamo ribadire ai lavoratori avanzati e ai giovani la necessità che la classe operaia prenda il potere.

Ciò che è necessario è costruire le forze del marxismo il più rapidamente possibile, per conquistare i lavoratori e i giovani alla tendenza marxista, attraverso un lavoro sistematico ed energico.

25 luglio 2012

Translation: FalceMartello (Italy)